Quando si parla di guerre e di storia in generale, spesso e volentieri si fa riferimento soprattutto ai combattimenti e ai rapporti politici ed economici tra i vari paesi. Ma la Storia è passata anche attraverso altre storie, magari più piccole, individuali o semplicemente non si ha dato importanza ad altri aspetti che una guerra può causare: storie di persone che nel loro piccolo hanno contribuito agli eventi ma non per questo sono meno importanti. Tra queste ci sono anche quelle legate alla protezione dei beni culturali: cancellare un monumento o un opera d’arte, significa cancellare la storia e l’anima di una città, di un paese o di una intera nazione.
Con il film “The Monument’s Man” di George Clooney abbiamo conosciuto delle persone che hanno cercato di salvare le opere d’arte europee dalla razzia (o pazzia, fate voi) voluta da Hitler e dalla guerra; con la storia recente abbiamo conosciuto una Palmira distrutta dall’ISIS e l’uccisione di Khaled Al Homsi.
Ma anche la Prima Guerra Mondiale ha fatto i suoi danni in questo senso: cercando del materiale, ho scoperto la figura di don Vincenzo Casagrande, un prete trentino che fece di tutto per salvare le opere d’arte della Val di Cembra e del resto della provincia di Trento. E allora mi sono incuriosita ed è nato questo post: non vuol essere niente di pretenzioso ma solo far conoscere un pezzetto di storia che incastrata con altri pezzetti, ha creato la Storia. E’ un argomento piuttosto complesso e difficile: questo post è un breve resoconto di quello che ho trovato; se siete curiosi e volete approfondire l’argomento, trovate la bibliografia in fondo al post!
Pillole di storia
La Prima Guerra Mondiale, oltre a portare distruzione la livello umano, provocò grandi distruzioni anche sui monumenti e nei centri storici soprattutto nell’Italia del Nord Est. Questo perché, dopo aver dichiarato ostilità all’Austria e Ungheria nel maggio del 1915, l’Italia concentrò il suo contenimento delle truppe nemiche lungo il fronte trentino, un’area con particolari e favorevoli condizioni territoriali per il nostro Paese e in contemporanea, attivò un’offensiva verso est, con l’intento di conquistare la zona a nord di Trieste fino a Gorizia. Nel concreto, il conflitto divenne una guerra di posizione: il fronte italo-austriaco comprendente il Tirolo, la Carnia e l’Isontino divenne il luogo dove si produssero i maggior i danni sia a livello umano che sulle città e i monumenti.
Riguardo alla tutela dei monumenti, le opere d’arte e i centri storici, erano già presenti delle norme a livello internazionale ma eran poca cosa: offrivano disposizioni molto difficili da mettere in pratica come il “divieto di lanciare i proiettili ed esplosivi dall’alto dei palloni o con mezzi analoghi”, dichiarato dall’art. 1 della Convenzione dell’Aja del 1899. Nel 1907 ci fu un aggiornamento a riguardo grazie alla IV Convenzione dell’Aja concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso: nell’allegato Regolamento concernente le leggi e gli usi della guerra per terra, si disponeva la salvaguardia degli edifici di rilevanza storica. Alcune limitazioni furono imposte anche nella Convenzione sul Bombardamento con forze navali in tempo di guerra, datata 18 ottobre 1907.
A lungo andare le direttive legate al divieto di bombardamento aereo non impedirono nel corso della guerra di bombardare il Nord Europa con una serie di attacchi tra Belgio, Francia e Inghilterra, un raid a Napoli nella notte del 10 marzo 1918 eseguito dallo Zeppeling LZ 59 della Marina Imperiale Germanica e la Regia aeronautica italiana cercò di colpire Pola, considerata un obiettivo di grande importanza militare per la presenza dell’arsenale, base della flotta navale austriaca.
Questa situazione mette in evidenza di come la situazione fosse carente di regolamentazioni a riguardo i bombardamenti sui monumenti ma anche di come queste influirono poco o niente sugli organismi militari incaricati a salvaguardare il patrimonio artistico e monumentale.
Secondo le testimonianze dei periodici dell’epoca, in Francia e in Belgio, a causa delle battaglie della Marna, molte città furono rase al suolo, danni arrecati dalle artiglierie pesanti e dall’aviazione tedesca, contando almeno 700 monumenti ridotti a rovine. Questa situazione portò angoscia verso quello che sarebbe potuto succedere in Italia nelle zone che si trovavano al confine con l’Austria; da qui nacque l’idea di un piano di protezione e deportazione del patrimonio monumentale italiano, grazie alla società fiorentina Leonardo da Vinci: fu la più importante e sistematica opera di salvaguardia preventiva finanziata dallo stato.
Questa azione, a partire dal marzo del 1915, fu coordinata da Corrado Ricci, direttore generale dell’Antichità e Belle arti del Ministero di Pubblica istruzione e gestita dai soprintendenti del Triveneto italiano. Ugo Ojetti fu scelto per gestire i rapporti tra il Ministero e le forze armate, nella veste di capitano del genio militare.
Il progetto iniziò nel 1915, quando si decise di approntare le opere di protezione degli edifici ma è con l’offensiva austriaca sull’Altopiano di Asiago nel dicembre del 1916 che l’evacuazione delle opere d’arte di proprietà di musei e chiese situate nelle zone più esposte, segnò il via ufficiale. Le opere furono messe al riparo in depositi situati ben oltre all’Appennino Tosco-Emiliano.
Venne fatto il resoconto anche fotografico attraverso un numero monografico del Bollettino d’Arte intitolato La difesa del patrimonio artistico italiano contro i pericoli della guerra, 1915-17. E’ dopo la disfatta di Caporetto e un maggiore rischio di un’invasione nemica oltre la linea del Piave che uscì il secondo numero del Bollettino d’Arte dal titolo Protezione degli oggetti d’arte, dove veniva raccontato in modo dettagliato tutta l’attività di salvaguardia dei beni culturali.
I beni culturali durante la Grande Guerra in Trentino
In questo contesto il fronte trentino conta ben 350 km di estensione e percorre l’intera regione lungo al confine meridionale. A differenza del Veneto con territori impervi e poco popolosi lungo il confine con l’Austria, il Trentino si presenta diversamente: maggiormente popolato e per questo nella primavera del 1915 si ebbe l’ordine da parte dell’esercito austro-ungarico di evacuare interi paesi del Trentino meridionale (ricordo che il Trentino fino alla fine della Grande Guerra era territorio austriaco ma di madrelingua italiana: qua si svolse una doppia guerra, quella degli irredentisti trentini con lo scopo di passare all’Italia ma questa è un’altra storia; si ebbe una situazione più pesante del previsto con famiglie divise su due fronti).
Fu decretato lo sfollamento di tutta la linea del fronte, cioè di tutti quei territori a confine con la Lombardia e il Veneto. La popolazione di madrelingua tedesca fu trasferita in Austria, Moravia, Stiria, Boemia o nel salisburghese; quella italiana si rifugiò in altre regioni d’Italia.
In questi territori, dall’Adamello alla Marmolada, la guerra venne combattuta soprattutto sui monti (ancora oggi abbiamo moltissimi forti legati a questo periodo), in alta quota e sugli altipiani: nonostante questo, si ebbero pesanti danni anche al patrimonio edilizio e monumentale nelle vallate; ben 29.000 fabbricati vennero ridotti a rovine. La guerra colpì soprattutto la Valsugana (la zona più colpita!), la Vallarsa, la Vallagarina e la Valle del Chiese, con artiglierie italiane stabili nelle città di Rovereto, Arco e Riva.
Rovereto divenne la prima linea e fu evacuata già nel maggio del 1915; ancor prima del conflitto subì l’abbattimento di 47 edifici da parte dell’esercito austriaco per liberare le eventuali linee di tiro. Conobbero il peggio le strutture religiose come la chiesa arcipretale di San Marco (una delle principali della città), il Museo Civico, il Palazzo Municipale, il Castello e così via: si calcolano che solo 30 case private su 903 rimasero illese. Rovereto divenne la città simbolo delle terre redente e dal 1921, grazie ad un restauro, il Castello divenne la sede del Museo della Guerra.
Riva del Garda e Arco subirono altrettanti danni pesanti da parte dell’artiglieria e dall’aviazione italiana. Trento, invece, grazie ad un valido sistema difensivo, non subì grandi danni alle case e agli edifici monumentali. Questo perché Trento fu considerata prioritaria dallo stato maggiore austriaco e costituiva il punto principale per il controllo dell’intera regione e sede del Comando nel Castello del Buonconsiglio.
La storia di don Vincenzo Casagrande
In questo contesto risalta la figura di don Vincenzo Casagrande, studioso e uomo di Chiesa; il quale ricoprì un ruolo importante per quanto riguarda la tutela dei beni storico-artistici trentino a cavallo tra l’Otto e Novecento e soprattutto durante la Grande Guerra.
Fu colui che fondò il Museo Diocesano Tridentino proprio per raccogliere tutti i beni artistici delle chiese a rischio di dispersione o danneggiati. Durante la Prima Guerra Mondiale, don Vinenzo Casagrande mise in sicurezza molti beni storici e artistici locali, sia religiosi che laici.
Nel 1918 costituì l’Opera di Soccorso per le Chiese rovinate dalla guerra, proprio per provvedere ai pesanti danni causati dal conflitto, occupandosi di ben oltre 600 chiese di tutto il Triveneto. Nel 1919 venne ricordato dal vescovo Celestino Endrici attraverso una lettera al governatore militre di Trento: ” … benché non fosse un soldato non ebbe paura di esporsi molte volte al pericolo di vita al fronte di Riva, di Torbole, di Villa Lagarina, di Rovereto e in Valsugana per salvare alla Patria almeno quel poco che si poteva salvare”.
Un esempio del lavoro del Casagrande: riuscì ad ottenere ben 14 vagoni di un treno per poter trasferire a Trento dei dipinti e degli arredi di alcune dimore storiche di Rovereto, sottoposte al tiro delle artigliere, grazie alla stima e alla fiducia da parte del Feldmaresciallo von Gusek, comandante della piazza di Rovereto. Mentre a Riva del Garda riuscì a prendere in consegna ben 168 pezzi d’arte per affidarli ad un prelato di Innsburck con lo scopo di conservarli.
Nel 1919 l’Opera di Soccorso per le chiese rovinate dalla guerra fu smantellata per cedere il posto all’organismo di tutela dello Stato, il mons. Costantini disse: “Dire cosa abbia fatto Casagrande significherebbe fare la storia di ogni singola chiesa sul fronte trentino”.
Bibliografia
Folgheraiter, Alberto, Un popolo, due patrie. Il Trentino nel vortice della Grande Guerra 1914 – 1918, Curcu & Genovese, Trento, 2015
Primerano, Domenica, Il Museo Diocesano Tridentino, Temi, Trento, 1996
Treccani, Gian Paolo, Monumenti e centri storici nella stagione della Grande Guerra, Franco Angeli, Milano, 2015
2 comments
Argomento interessante e che non conoscevo. E’ sempre bello conoscere delle chicche “storiche”!
E’ vero! E pensare che neanche io conoscevo questa storia. Poi, quando si parla di guerra, si parla soprattutto di persone, di politica e di economia ma mai delle opere d’arte che possono essere bombardate o rubate e rimesse in giro sul mercato nero!